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Spese legali scontate agli assolti, la proposta al voto della Camera

DICHIARATO AMMISSIBILE L’EMENDAMENTO ALLA LEGGE DI BILANCIO PRESENTATO DA COSTA: «PRINCIPIO SACROSANTO»

Achi è accusato per sbaglio in un processo penale va scontata almeno una parte della spesa sostenuta per la difesa. Dev’essere lo Stato, insomma, a pagare. Il principio sembra ovvio. E anzi molti potrebbero pensare che una norma in grado di attuare un principio simile esista già. E invece non c’è, almeno in Italia. Le spese legali sono risarcite, in caso di assoluzione con formula piena, in Paesi non nelle retrovie del diritto come Francia, Svezia e Norvegia. Ma non da noi. Ecco perché il deputato di Azione Enrico Costa ha presentato un emendamento alla legge di Bilancio che prevede la detraibilità fino a 10.500 euro dei costi sostenuti da chi è stato processato ingiustamente. Una proposta che riprende l’idea avanzata già dal Cnf tre anni fa e che ieri è stata dichiarata ammissibile, nell’ambito della consueta scrematura, dal presidente della commissione Bilancio della Camera Fabio Melilli. Adesso la partita è politica. Ma Costa può contare sull’attenzione suscitata, sulla norma, anche nel guardasigilli Alfonso Bonafede.

L’EMENDAMENTO DI COSTA ALLA MANOVRA DICHIARATO AMMISSIBILE

Stavolta si può fare. Il diritto di difesa potrebbe smettere di essere «tassato in maniera irragionevole», come dice Enrico Costa con efficace paradosso. Il deputato di Azione, ed ex viceministro della Giustizia, ha rilanciato la proposta, avanzata la prima volta esattamente un anno fa, sulla detraibilità delle spese legali sostenute per la difesa da parte di chi è assolto. Ne ha fatto un emendamento alla legge di Bilancio. E le possibilità di successo cominciano a farsi interessanti. Ieri la proposta è stata dichiarata ammissibile dal presidente della commissione Bilancio della Camera ( dov’è in corso l’esame della Manovra), il dem Fabio Melilli. Primo passo, non scontato. Basti pensare che lo stesso Costa si è visto invece respingere come inammissibile un altro emendamento con cui chiedeva di innalzare il tetto massimo del risarcimento previsto per l’ingiusta detenzione dagli attuali 516mila a un milione e 32mila euro. Motivo: secondo Melilli si tratta di una modifica “ordinamentale”, dunque incompatibile con le leggi di Bilancio.

La partita dunque è aperta, e andrà giocata su un terreno politico. La formazione di cui Costa ora fa parte, quella appunto di Carlo Calenda, è rappresentata nel gruppo Misto di Montecitorio da altri due deputati, che pure hanno sottoscritto la proposta sul parziale ristoro degli assolti: Nunzio Angiola e Flora Frate. A loro si è aggiunto il leader di + Europa Riccardo Magi. Nei giorni scorsi non hanno esitato a inserire l’emendamento tra i “segnalati” alla commissione Bilancio Costa confida in un sostegno del guardasigilli Alfonso Bonafede, a cui ha illustrato l’idea in una lettera, ma anche del Pd. «Non posso dimenticare innanzitutto che, dal punto di vista parlamentare, la primogenitura dell’idea è di Gabriele Albertini», spiega al Dubbio il deputato di Azione. «Fu lui a proporla in Senato nella precedente legislatura, e ottenne il sostegno convinto dell’allora capogruppo dem in commissione Giustizia Beppe Lumia. Anche per questo credo che il Pd non sarà indifferente al mio emendamento». D’altronde non si tratta di una provocazione iperbolica. La norma è scritta in modo equilibrato. Innanzitutto, la detraibilità delle spese legali riguarderebbe solo chi è assolto in via definitiva con una delle seguenti formule: se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. «Come specificato in uno dei commi», chiarisce Costa, «sarebbero esclusi dal recupero fiscale di parte delle spese legali coloro per i quali viene dichiarato prescritto il reato, o che beneficiano di interventi di depenalizzazione, o che sono prosciolti da un capo d’accusa ma condannati per un altro». Non solo. C’è un limite innanzitutto alla somma che ciascun ex imputato può portare in detrazione: 10.500 euro. Si specifica che il risparmio fiscale sarebbe applicato alle «imposte sui redditi», dunque con detrazioni Irpef, ripartite in tre quote annuali a partire dall’anno successivo all’assoluzione definitiva. Ma soprattutto, la ragionevolezza della proposta risiede al quinto comma dell’articolo ( ora codificato come 177- bis): la misura sarebbe applicata «nel limite massimo di spesa di 15 milioni di euro nell’anno 2021 e di 20 milioni a decorrere dal 2022» reperiti in un fondo specificamente indicato.

Il parlamentare di Azione aveva provato a introdurre il principio della “soccombenza” nel processo penale già nel ddl sul patrocinio a spese dello Stato, assegnato alla commissione Giustizia di Montecitorio. In attesa che quel testo riprenda l’esame, Costa tenta ora la strada della legge di Bilancio anche in virtù di un consenso che potrebbe rivelarsi decisivo: quello del guardasigilli Alfonso Bonafede. Il ministro non ha nascosto il proprio interesse per la proposta. Ma ha subito segnalato la necessità di una verifica contabile, non semplicissima: visto che Costa propone di rendere detraibili, fino a 10.500 euro, le spese sostenute per la difesa da parte di chi è assolto, è necessario conoscere, approssimativamente, il numero delle persone che ogni anno potrebbero accedere a tale diritto. Ma una statistica del genere non è mai stata fatta. Si conosce il numero dei proscioglimenti ma non di quelli pronunciati con una di quelle che Costa definisce “formule ampiamente liberatorie”.

Ecco perché il deputato di Azione ha pensato di integrare il vecchio schema della proposta con un tetto massimo, inizialmente di 15 milioni. Si dirà: e se i prosciolti con una delle formule previste si rivelassero abbastanza numerosi da rendere insufficiente il fondo? L’emendamento mette in conto anche tale plausibile eventualità: al comma 6 stabilisce che «con decreto del ministro dell’Economia, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di Bilancio, sono definiti criteri e modalità di attuazione» della norma sulle detrazioni. «Ipotizzo che il Mef possa scegliere di ridurre proporzionalmente la detrazione ammessa per ciascun assolto, qualora il fondo fosse insufficiente. Oppure che si stabilisca altro criterio. Ciò che conta», dice Costa, «è affermare il principio: lo Stato paga, se sbaglia ad accusarti». Semplice, incontestabile. Ma non previsto in Italia, diversamente da quanto avviene in altri 28 Paesi del Consiglio d’Europa, tra cui Francia, Spagna, Svezia e Norvegia. Nella legge di Bilancio del 2018, era stato il Consiglio nazionale forense a proporre per primo una norma del genere, basata sul principio per cui il diritto di difesa è sancito in Costituzione, all’articolo 24, con enfasi non certo attenuata rispetto, per esempio, al diritto alla salute. Può darsi che la Manovra per il 2021 si riveli la volta buona per una battaglia cara non solo a Costa ma all’intera avvocatura italiana.

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